di Nadeesha Uyangoda

Indossare un sari è un rito.

Anzi, riformulo: per me, indossare un sari è prima di tutto una crisi di panico e isteria, poi, a posteriori, con una buona dose di romanticismo e fantasia, è un rito.

Le srilankesi più esperte sono perfettamente in grado di avvolgersi da sole in questa tenda, utilizzando un numero minimo di spilli.
A me, invece, servono in genere almeno due aiutanti, quattro mani e altrettante scatole di spilli per evitare qualunque possibilità di restare nuda in pubblico; e mentre me lo mettono addosso – manco fossi un manichino!- il mio pensiero (e lo so, anche il vostro) è uno solo: come faccio ad andare in bagno?

Ci sono decine di modi diversi di indossarlo, il che significa che sta bene a qualunque donna, ma, ammettiamolo, come qualsiasi altro abito, sembra che stia sempre meglio a quella che “guarda che fisico!”.
C’è la ragazza che lo indossa a vita bassa per mostrare la pancia che non ha.
Quella che “mamma, giramelo bene intorno e coprimi i rotolini”.
La signora avanti negli anni che porta il sari con così tanta naturalezza che sembra non aver indossato altro per tutta la vita.
La donna che non ha bisogno di mostrare più di quanto non si debba far vedere e, insieme col sari, indossa anche quella sicura consapevolezza del proprio corpo che si acquista solo con la maturità.

Tutte, però, vi daranno l’identica sensazione di naturale eleganza e innata femminilità.

E i colori… I mille colori dei sari vi porteranno lontano, in terre esotiche, all’umido caldo equatoriale e la brezza salata dell’Oceano Indiano vi raggiungerà sempre, ovunque siate, perchè fatta solo per far aderire quei tessuti impalpabili alle curve di un corpo femminile. E vi verranno in mente frutti dolcissimi, tramonti irreali, sorrisi aperti, matrimoni festosi, distese di azzurro e ritmi di tamburi.

Ecco, indossare un sari, prima che panico e isteria, prima ancora che un rito, è un viaggio.